Uomo e Natura , un legame indissolubile … pena la fine di entrambi

«Ne furono protagonisti un mulo dell’Asinara e un uomo che nell’isola scontava un suo debito con la giustizia. Entrambi erano incaricati della quotidiana fatica di salire le pendici dei monti e dei boschi dell’Asinara, per caricare legna da riportare alla cucina della Colonia dove l’uomo era “ospite”. Doveva lì scontare una condanna a vent’anni, per assassinio, e poiché s’era dimostrato volenteroso e forte gli era stato affidato l’incarico di raccogliere o tagliare legna per il bisogno quotidiano delle cucine.

Giorno dopo giorno, fatica dopo fatica, lui e il mulo avevano lavorato insieme per diciotto anni. In silenzio, solitari. Al compiersi del diciottesimo anno di prigionia, all’uomo, venne trasmessa la notizia che gli ultimi due anni di Colonia Penale gli venivano condonati per buona condotta. Poteva considerarsi libero, lasciare l’isola.

Chiese invece di restarvi e continuare il suo lavoro. Ma non fu possibile, al condono come alla condanna non ci si può sottrarre. Chiese allora di acquistare il mulo, avrebbe continuato a lavorare con lui da qualche parte, sulle montagne di Sardegna. Offrì in pagamento tutto quanto aveva guadagnato e mai speso durante la prigionia (i detenuti ricevono un compenso per le mansioni svolte). Anche questo non fu possibile. L’amministrazione della Colonia Penale, come tutti gli Enti Pubblici, non poteva vendere quel mulo. Si trattava di “inalienabile bene dello Stato”.

Insistette, pianse, ma tutto fu inutile. La burocrazia fu come sempre inflessibile e invincibile. L’uomo lasciò l’isola da solo. Nello stesso giorno, non vedendo apparire il suo padrone e compagno, il mulo rifiutò il cibo. E continuò a rifiutarlo nei giorni successivi. Nessuno riuscì a costringerlo. Dopo una settimana morì.

A quanto si seppe, anche l’uomo, a pochi mesi dalla liberazione morì, in carcere non si era mai ammalato, ma evidentemente quando si trovò libero ma solo, il suo cuore cedette»

Folco Quilici